L’abbazia benedettina di San Quintino di Spigno ( parte 2) di Antonio Visconti

di Marina Levo

La seconda parte della ricerca del sindaco di Spigno, dott. Antonio Visconti, edita nel libro Quattro passi di storia a Spigno Monferrato. Impressioni Grafiche 2017


Ora et labora – Gli abati di San Quintino.

I monaci dell’abbazia di San Quintino erano Benedettini e, in quanto tali, si riconoscevano nella regola dettata da San Benedetto da Norcia. I Benedettini univano la vita religiosa, la preghiera al lavoro manuale. La fatica fisica acquisiva importanza dal punto di vista sociale, veniva nobilitata. La regola monastica, scritta tra il 540 e 550 d.C., si componeva di un prologo e di settantatré capitoli. I vari capitoli si occupano della struttura del monastero e dei monaci in esso presenti ( abate, monaci, consiglio di comunità; della dottrina spirituale e i suoi fondamenti ( obbedienza, silenzio, umiltà; dell’ufficio divino e della preghiera; dell’organizzazione del monastero ( pasti,lavoro). Altre parti della regola hanno come tema i rapporti dei monaci con il mondo esterno, dei rapporti con i novizi e l’elezione dell’abate; la funzione del portinaio e il significato della clausura.

Mancano dati storici precisi, tuttavia si ipotizza che i monaci benedettini abitanti nel monastero di San Quintino in un primo tempo abbiano lavorato faticosamente a disboscare e bonificare il territorio. Ciò in quanto i terreni donati al monastero erano boscosi o paludosi, incolti, privi di rendita per il donatore. Col trascorrere degli anni, accresciuta la prosperità dell’abbazia, i monaci non lavoravano più in prima persona, ma si facevano aiutare da massacri, affittuari e operai. Il nuovo ruolo dei monaci diventa l’amministrazione dei terreni, delle rendite e del lavoro dei subalterni. Il monastero, nato nella solitudine, diventa presto guida al lavoro, all’apprendimento, al commercio. La società e le città medioevali derivano dal monastero, centro della vita lavorativa; ciò in un’epoca di paura e di calo demografico conseguenti alla dominazione longobarda e alle incursioni dei Saraceni. Tali concetti sono ben espressi dalle parole di Oliviero Iozzi:

Se in quei miseri tempi d’ignoranza e di dispotismo la nostra penisola, ed Acqui specialmente, poté conservare un qualche vestigio di letteratura, se ebbe il bene di poter serbare qualche monumento atto a generare uno sprazzo di luce in quelle foltissime tenebre, e se inoltre tante campagne, prima boscaglie, furono ridotte a coltivazione e tante terre incolte, dissodate, lo dobbiamo ascrivere all’attività personificata di questi monaci figli non degeneri di un Benedetto.

Analogamente il Biorci scrive:

Chi sa se la storia non ignora che i Benedettini con le loro mani ridussero a fertilità diverse regioni anche in queste parti, che prima erano deserte e malsane, cosicché con l’andar del tempo vi si eressero delle città e dei paesi anche di considerazione.

Il monastero di San Quintino era governato da un abate, un monaco eletto a vita dalla comunità monastica sulla base dei meriti e della dottrina spirituale. Ad esso competeva il buon andamento del monastero, sia dal punto di vista spirituale, che da quello amministrativo.

Poche notizie ci sono pervenute in merito alla storia dell’abbazia e ai relativi abati nei secoli seguenti la fondazione, in particolare mancano dati riguardanti l’XI secolo. Eccole in breve:

Anno 1139: risulta abate Umberto.

Anno 1179: risulta abate Rollando. Il 5 maggio il papa Alessandro III confermava all’abate Rolando e ai monaci di San Quintino il controllo dei beni conferiti in seguito alla fondazione dell’abbazia, più altri nuovi.

Anno 1185-87: giunge una riforma del monastero attuata da Ambrogio del Carretto, vescovo di Savona, su ordine del papa Urbano III. Come dice il Poggi, i costumi dei monaci cominciarono presto a mostrare segni di corruttela e il monastero subisce conseguenze negative. Il provvedimento del papa Urbano III cerca di limitare l’indisciplina dei monaci, ritardando la decadenza del monastero.

Anno 1199: Il vescovo Guala di Castelletto conferma che il monastero di San Quintino deve dipendere dal vescovado di Savona.

Anno 1238: risulta abate Guglielmo II. Questi diventa pro tempore vescovo di Acqui in seguito alla rinuncia del vescovo Ottone per vecchiaia. Può conservare entrambi gli incarichi grazie al consenso del Pontefice.

Anno 1257: è abate Pietro. In data 4 giugno nell’abbazia di San Quintino viene redatto l’atto di divisione del Marchesato di Ponzone tra gli otto fratelli.

Anni 1328-30: risulta abate Oddone di Ponzone.

Anni 1336- 56: e’ abate Benedetto.

Anno 1356: dall’11 luglio risulta abate Domenico dei Conti di Valperga, nominato dalla Santa Sede.

Anno 1401: risulta abate Francesco del Carretto dei marchesi di Savona. Questi, fino al 1406 è anche vescovo della diocesi di Alba.

Anno 1454: risulta abate Bernardo del Carretto, anch’egli vescovo di Alba.

Anno 1460: è abate Pietro del Carretto, anch’egli nominato, pochi anni più tardi, vescovo di Alba.

All’epoca di Bernardo del Carretto la decadenza del monastero di San Quintino, ormai grave e inarrestabile, comporta la sua trasformazione in commenda, con nomina di abati commendatari. Tali figure erano dei prelati secolari cui era affidato un monastero. La commenda poteva essere perpetua o temporane; nel primo caso era affidata dal papa e conferiva al beneficiato tutti i diritti; quella temporanea invece veniva affidata ad un soggetto, una sorta di vicario, che non aveva diritto di goderne i frutti.

Nell’anno 1476 diviene abate commendatario perpetuo Nicolao Ottone del Carretto.

Alla fine del XV secolo il monastero di San Quintino viene annesso alla mensa vescovile di Savona. Secondo alcuni autori ciò avviene durante il pontificato di Sisto IV ( 1471-1484). Bernardino Bosio, cui venne concesso di visionare i documenti conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, ha appurato che l’annessione alla diocesi di Savona avvenne sotto il pontificato di Alessandro VI ( 1492- 1503) e precisamente il 13 novembre 1500. Di tale atto venne informato il 23 novembre 1500 il vescovo di Savona Giuliano della Rovere, successivamente eletto papa col nome di Giulio II. Così rimase l’abbazia fino al 1838. Infatti, nell’archivio vescovile di Acqui Terme, risulta uno scritto dell’arciprete Stefano Veggi in cui se ne fa menzione, fra le chiese e le cappelle fuori della parrocchia: San Quintino all’abbazia di Monsignor di Savona….

La storia dell’abbazia volge ormai al termine. Il 25 febbraio 1850 al Parlamento subalpino si discute un provvedimento di legge a firma del senatore Giuseppe Siccardi. Con tale legge i beni ecclesiastici diventano di proprietà dello Stato: passati al demanio, successivamente vengono venduti a privati con asta pubblica.

 

 

L’abbazia nel XX secolo.

 

Così si è chiusa la plurisecolare storia dell’abbazia di San Quintino, sebbene manchino documenti in tal senso. La relazione dell’arciprete don Giuseppe Spagarino, datata 10 luglio 1927 riporta

Nella pianura della Bormida verso Mombaldone sorge la celebre abbazia di San Quintino, con quasi ancor tutta l’ossatura della chiesa e con molti avanzi dell’antico convento. Il vescovo di Savona ne è abbate perpetuo e, soppresso ai tempi di Napoleone, attualmente è di proprietà della famiglia Cenni di Genova.

Nel saggio “ Chiese e cappelle- memorie “, privo di firma e non datato, ma verosimilmente redatto dallo stesso don Spagarino, pochi anni dopo, l’abbazia viene nuovamente citata. Così viene descritta:

Nella pianura della Bormida, sulla strada Emilia, …. Venne edificata la celebre Badia di San Quintino, che per secoli e secoli dominava tutta la vallata e la Crixia, e fu nella carità cristiana rifugio al pellegrino. Abbandonata dai Benedettini, fu unita alla Mensa Vescovile di Savona, alla quale apparteneva tutta la vallata Cairo-Spigno. Il Vescovo ha il titolo di Abbate di San Quintino e per molti anni la scelse a sua dimora autunnale. Aveva annessa una chiesa in stile romanico. Quando la Badia venne distrutta nelle guerre napoleoniche, fu pure distrutta la chiesa, incamerati i beni e venduti, ed i proprietari nella parte anteriore riservarono una parte della chiesa, che ancor oggi si apre ai fedeli in poche circostanze. I ruderi restano tra le opere nazionali di arte e antichità, come pure il celebre ponte, sul quale poggia la cappella di San Rocco.

Tornando ai proprietari della ormai dismessa abbazia, dai registri conservati nell’Archivio del Comune di Spigno Monferrato, si ricava che nel 1885 la proprietà risulta di Cenni Giuseppe fu Cosimo, residente a Genova. La proprietà passa alla figlia Cenni Ebe e, a seguire, ad altri proprietari, con suddivisione tra abbazia e monastero. Quest’ultimo diventa una casa colonica alla fine degli anni Sessanta di proprietà di Giovanni Battista Birello. Con voltura datata 12 ottobre 1919, mio bisnonno da parte materna, Giuseppe Sassetti fu Bartolomeo, ( detto Pinin del Barbere) acquisiva il bosco del Ronchinato, in precedenza proprietà dell’abbazia.  Il prof. Gian Franco Fioredda offre un quadro dello stato attuale del monumento; la descrizione, integralmente riportata, è relativa agli anni 1960/70.

I perimetrali esterni, nonostante le varie manomissioni, conservano una indubbia caratterizzazione di derivazione lombarda. Particolarmente interessante la distribuzione e conformazione delle lesene che denunciano un carattere prettamente strutturale con una chiara corrispondenza all’organizzazione dello spazio. Si può tuttavia supporre, con un certo grado di approssimazione, l’esistenza di tre navate coperte con volte a crociera. Notevole la facciata scandita da una rigida ripartizione della superficie che si ricollega con continuità ai fianchi. L’insieme richiama, in qualche modo, la severità di certe strutture bizantine e preromaniche.

La distribuzione interna degli spazi, originariamente, comprendeva una unica navata con abside semicircolare coperta da capriate, un transetto formato da due cappelle con copertura a botte, due campanili formanti a piano terra due sacelli absidali. Sottostante l’abside, il transetto e i sacelli absidati, si estendeva la cripta, di cui restano pochi resti ed è attualmente poco conosciuta.  All’interno della navata, sono state murate alcune lapidi di origine romana rinvenute lungo la via Aemilia Scauri.

L’interno della chiesa, ormai in parte adibito ad abitazione, conserva tracce di affreschi risalenti ai secoli XI- XII. Sono in gran parte deteriorati, tuttavia- sulla base di informazioni risalenti agli anni Sessanta- Settanta – rappresentano parte di un Giudizio Universale, dipinto all’interno della facciata della chiesa. Nell’abbazia di San Quintino, così come nelle chiese medioevali, abitualmente si trovava il Cristo in corrispondenza dell’abside, il Giudizio Universale sulla parete di ingresso, mentre sulle pareti laterali erano raffigurati Santi e scene bibliche.

 

4 maggio 1991 – Il millenario della Fondazione

 

La fondazione dell’abbazia di San Quintino è stata oggetto di un convegno internazionale intitolato “ San Quintino di Spigno, Acqui Terme e Ovada : un millenario”, tenutosi a Visone, Acqui Terme, Spigno Monferrato e Ovada, in occasione del millenario. Per tale evento il pittore Franco Vasconi, di Spigno Monferrato, ha realizzato una litografia che riproduce la facciata dell’abbazia con a fianco la torre del castello di Visone, il tutto unito da un messaggero a cavallo che ostenta il documento fondativo, la “Charta offersionis”. Giova notare l’anatomia dell’animale, che esprime l’esaltazione del movimento e la forza del cavallo, ottimamente rappresentato dal celebre pittore Vasconi.

Il convegno ebbe inizio il 24 aprile 1991 a Spigno Monferrato, per trasferirsi ad Acqui Terme il 25 e 26 e terminare a Ovada il 27 e il 28 aprile. A Spigno vennero tenute sei relazioni, diciotto ad Acqui Terme e quattordici a Ovada. Tra i relatori cito, solo a titolo di esempio, il prof Geo Pestarino, il prof. Bernardino Bosio, la prof.ssa Laura Balletto, il dott. Gianni Rebora, il prof. Angelo Arata, il prof Adriano Icardi, mons. Giovanni Galliano, oltre a molti importanti nomi provenienti dalla Sovrintendenza ai Beni Storici e Artistici del Piemonte e da ambienti universitari nazionali. Il convegno, grazie alle dotte relazioni, ha ripercorso mille anni di storia, dal 4 maggio 991 all’inizio del XX secolo.

La storia del Monferrato, detto dal Carducci l’esultante di castella e vigne suol d’Aleramo, dapprima poco conosciuta, inizia dal convegno di San Quintino un percorso ricco di novità e di interesse crescente. Tale evoluzione è tuttora in atto e ha assunto, grazie ai restauri dei beni storici e all’uso di nuove tecnologie informative, una vera e propria ricchezza culturale e turistica. Mi associo al l’augurio con cui il prof Geo Pestarino concludeva la sua relazione al convegno,che, grazie al ricordo del Millenario, sia riportata all’antica bellezza dell’originaria struttura è concessa all’ammirazione dei visitatori l’abbazia di San Quintino di Spigno, come avvenne, tempo addietro, per quella di Santa Giustina di Sezzadio, ad essa posteriore di quarant’anni.

 

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