Quegli strani fiori

di GIOVANNI

Spigno Monferrato- Sabato 20 agosto alle ore 18,00 Sala d’Arte corso Roma, 98, inaugurazione della mostra di sculture ceramiche “Quegli strani fiori” di Renza Laura Sciutto. La mostra resterà aperta fino all’11 settembre 2022 con i seguenti orari: sabato e domenica dalle ore 10,00 alle ore 12,30 e dalle ore 17,00 alle ore 19,30. Nei giorni 8,9,10,11 durante la festa “Settembre spignese” oltre gli orari normali  resterà aperta anche durante le ore serali.

La mostra sarà presentata dal Prof. Carlo Prosperi che così ha scritto:

 Quando Jean Des Esseintes, schifato dalla vita di società, si ritira nel suo buen retiro di Fontenay-aux-Roses, non lungi da Parigi, tra i tanti esperimenti che egli tenta c’è quello di creare, mediante un prezioso montaggio di oreficeria, un mazzo di fiori artificiali. Che ovviamente non profumano, ma in compenso non appassiscono, non dipendono dalle stagioni e sfoggiano inusitati cromatismi. Gli basta poi spruzzare intorno ad essi delle essenze rare perché in breve la stanza sia inondata di fragranze peregrine, di quelle che hanno, baudelairianamente, l’expansion des choses infinies e chantent les transpots de l’esprit et des sens. Il resto lo fa l’attitudine evocativa dell’esteta, di cui Des Esseintes, il protagonista del capolavoro di Joris Karl Huysmans À rebours, si può considerare il prototipo. Con lui l’arte cessa di essere ancella della natura, per divenirne il superamento.

Qualcosa del genere, estetismo a parte, si ritrova nell’arte plastica di Renza Laura Sciutto, la quale a volte prende liberamente spunto dalla realtà, ma altre volte se ne distacca, dando forma (e vita) ad un florario di fantasia, dove accanto a «ferrofiori», troviamo «fiori mutanti», «germogli battuti dal vento», bacche e pollini giganti. Sì, perché, alla maniera del «fanciullino» pascoliano, la ceramista «impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare». Ne consegue un effetto di straniamento, quasi onirico, perché veniamo messi a contatto con una realtà inconsueta, a una natura, se così possiamo dire, distopica, inquietante. Come se fossimo vittime di un’allucinazione.

L’artista ci sorprende anche quando si ispira alla realtà: quando, ad esempio, rappresenta un geastro o una rafflesia, piante per noi esotiche o quanto meno improbabili, buone per gli sviluppatori di videogiochi (che amano infatti inserirli nei titoli delle loro creazioni) o per i disegnatori di manga. La rafflesia, a quanto apprendiamo, venne scoperta agli inizi dell’Ottocento nella foresta fluviale dell’isola di Sumatra da sir Thomas Stamford Raffles ed è il fiore più grande del mondo. Qui viene pertanto riprodotta in forme ridotte. Il geastro, come dice il nome, è una «stella terrestre»: un fungo globoidale che, quando è maturo, si apre in lamine petaliformi, a stella. Se poi pensiamo che la rafflesia è detta pure «fiore cadavere» per il suo fetido odore, abbiamo davvero l’impressione di essere proiettati, come Alice, in un mondo delle meraviglie, in un universo parallelo dove, ad ogni passo, incontriamo una natura stravagante e per certi aspetti sconvolgente.

Forme di vita parassitarie o soggette a forze mutagene attirano la nostra attenzione e magari, a ben pensarci, sotto sotto ci respingono anche, ma ci inducono a pensare, a riflettere, a metterci in discussione: noi e la nostra tecnologia, noi e i nostri ritrovati chimico-fisici in grado di incidere negativamente sull’evoluzione della natura. In Renza è sempre viva una preoccupazione ecologica di fondo, che,d’altra parte, è il naturale risvolto della sua formazione scientifica. Ma tutto ciò è sottinteso, non gridato, non proclamato: l’artista lascia parlare i suoi simulacri, con le loro studiate variazioni cromatiche, che si screziano in una costante dialettica tra politezza e porosità, inserendo nelle ceramiche metalli di recupero, per lo più umili objets trouvés, in una contaminazione che sembra da un lato ispirarsi all’arte povera, dall’altro alla poetica del riuso. In nome di un dignitoso riciclaggio. Perché nulla vada perduto. O consumato.

Carlo Prosperi

     

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