Denice tra storia e leggenda

di Doglio Maria Antonietta

Denice tra storia e leggenda

 

La narrazione è ambientata in un immaginario fienile tra Langa e Monferrato in un cascinale di Denice (Al), dove la sera si raduna una combriccola di animali che passano il tempo a raccontar storie di una volta e superstizioni d’altri tempi.

La voce narrante di questa storia è il gatto della canonica detto Tommy il Rosso, che ci parla di una strega, dell’inquisitore, dell’esistenza del castello della presenza del feudatario di Denice, di località come “le Chiazze” (che ancora esiste) e di cognomi che hanno dato il nome a una zona ben precisa del comune di Denice come “il Mussa”.

La strega di Denice Lucrezia Sabbiona

 

Omiss…

Il gatto Tommy il rosso arrivò furtivo in un immaginario fienile in un cascinale di Denice (Al), tutti gli amici animali pendevano dalle sue labbra e dopo un breve scambio di convenevoli Tommy iniziò con una prefazione che era la via di mezzo tra una scenetta teatrale ed un tentativo di vendere cianfrusaglie alla fiera:

«Amiche e amici quello che sto per narrarvi è una storia vera… secondo gli atti della sentenza del processo per stregoneria datato ventisette settembre del 1580 rogato dal tribunale inquisitore, svoltosi nel paese di Denice (Al) Italia e ora custoditi alla Trinity College Library di Dublino, riportati anche nel libro di Paola Piana Toniolo e soprattutto raccontati dal mio padrone Don Franco, così grazie a tutto ciò riesco oggi a riferire la storia della più famosa strega delle nostre valli»:

Correva l’anno 1574 e la protagonista della storia abitava in Denice, nella Diocesi d’Acqui. Il suo nome è Lucrezia Sabbiona ed è moglie di Gighino, questa donna è denunciata al Vescovo d’Acqui con l’accusa di essere una strega malefica e come tale aver commesso gran quantità di sortilegi. Molti testimoni affermarono davanti al castellano di Denice, di essere a conoscenza di stregonerie perpetuate dalla Lucrezia, contro tre uomini e tre buoi, poi di aver fatto del male alla figlia di Domenico Ghiga e alla figlia di Giovanni Giacomo Poggio e di aver tentato di nuocere ad un bambino che era tenuto a balia dalla moglie di Franceschino Bottino. I testimoni sostenevano che Lucrezia Sabbiona andava ai balli dal Demonio dopo aver unto il suo bastone di grasso di bambino montandoci a cavallo in compagnia di un’altra persona. Questa cavalcata di bastone era fatta senza nominare il nome di Gesù per non intercorrere nella maledizione del Diavolo, che altrimenti le avrebbe impedito di levarsi in volo e di raggiungere la frazione delle Chiazze, luogo dell’appuntamento con il Maligno. Tutte queste imputazioni e molte altre sono state raccolte dal castellano per essere poi consegnate all’Inquisitore perché ne verificasse l’autenticità.

Il delegato del vescovo l’avvocato Andronico Pitio si trasferì in Denice su mandato vescovile per analizzare, indagare e far una giusta luce su questa vicenda.

L’avvocato esaminò tutti i testimoni del caso e ne scaturì uno strano quadro d’insieme: risultò che la denunciata era conosciuta per aver ballato con il diavolo, praticato l’arte diabolica in paesi lontani, (quasi la sua fama l’aveva preceduta). Durante un interrogatorio Lucrezia Sabbiona narrò che un giorno era nei pressi della sua casa e mentre stava andando a prendere i tralci potati della vite, nella prima oscurità del tramonto, mentre lei si disperava per i soldi che doveva a Pietro Ghiga, dal nulla apparve un bel giovane di verde vestito. Il giovane le chiese perché piangesse, lei gli confidò d’essere debitrice di molti denari e il giovane la rassicurò che se lo avesse seguito l’avrebbe fatta ricca. La donna lo seguì fino alla località detta “il Bricco”, il giovane vestito di verde gli diede poi molti denari, non glieli consegnò in mano, ma li gettò al suolo, Lucrezia raccolte le monete da terra e messe nel grembiule s’accorse che si erano trasformate immediatamente in carboni.

In quell’istante il giovane di verde vestito le chiese di rinunciare al Battesimo e a tutte le regole della Chiesa, Lucrezia lo fece e poi ubbidì agli ordini del giovane che volle congiungersi con lei carnalmente. Il giovane era il Demonio e si faceva chiamare Martino, la prese in braccio e la portò sino “sotto li Chiazzi”, dove c’era un albero e li vi erano molti uomini e molte donne, sicuramente per continuare il festeggiamento con il Maligno.

La strega Sabbiona confessò anche che erano ormai tre anni che aveva rinunciato al battesimo, che era stata almeno due o tre volte alle feste, ai banchetti e ai balli e in ultimo si era anche congiunta con il Demonio. La donna confessò anche di aver ammazzato in compagnia di altri con i sortilegi diabolici: un bue e un giovane nel territorio di Cassine. Raccontò di aver fatto un maleficio alla figlia di Domenico Ghiga, sottraendola ai genitori nel pieno nella notte, mentre la piccola dormiva nel lettone, facendole poi un buco con un ago nel braccio per poterne succhiare il sangue causandone la morte, per poi rimetterla a dormire in mezzo ai genitori, senza che questi ultimi se ne accorgessero. A Lucrezia Sabbiona le furono fatte anche altre accuse: di aver “maleficiato” il maiale del reverendo di questo luogo di Denice, di aver a Colle San Giusto “maleficiato” bestie e persone, di aver rovinato un bue a Castelletto per ordine del Diavolo che altrimenti l’avrebbe picchiata. Le accuse ormai erano notevoli e nel 1580 la Sabbiona comparve spontaneamente davanti al vescovo d’Acqui e di nuovo affermò di essersi data al servizio del Demonio, di essersi congiunta carnalmente con lui, di aver fatto gravi malefici al bue, alle persone ed aver ammazzato la figlia di Domenico Ghiga e poi averla rimessa in mezzo a padre e madre, confesso anche che dopo la sepoltura della bambina, la stessa Lucrezia andò a dissotterrarla e lo aprì con un coltello dalla gola alle cosce, per prendergli il grasso per poter in seguito ungere il bastone, (quello che serviva per volare di notte per raggiungere il diavolo per il sabba).

In seguito Lucrezia fu interrogata a Denice nelle stanze del castello e durante quest’ultima inchiesta la donna negò ogni cosa, ammise di aver rilasciato quelle deposizioni perché era detenuta in prigione ed era stata spinta con la violenza da chi la interrogava a confessare, da quest’ultima inquisizione si evinse, che non era né masca né strega. Benché innocente la Sabbiona, fu condannata dal tribunale ecclesiastico capeggiato dall’inquisitore Fra Giovanni Battista de Porcelli d’Albenga un padre Domenicano (come i più classici inquisitori da film), che in nome di Santa Romana Chiesa sentenziò:

 Che Lucrezia Sabbiona dovesse abiurare le eresie fatte, come la rinuncia al battesimo e la disobbedienza alle regole della Chiesa e la condannarono ad essere frustata una volta in paese a Denice, partendo dalla porta del paese sino alla Chiesa, in oltre che per tre giorni festivi la condannata doveva stare sulla porta della chiesa, a spalle scoperte e si doveva frustare da sola per tutta la durata della messa»

.

La sentenza recitava oltre:

«

A seguire devono essere applicati tutta una seria d’obblighi di frequentazioni di messe, di rosari, di dovere di fare la comunione e di confessione. Perché, anche se non si era potuto provare la stregoneria, rimaneva il sospetto e in ogni modo, in un primo tempo, c’era stata una “volontaria” confessione di tutta una serie di nefandezze»

.

Lucrezia Sabbiona fu sospettata di stregoneria in prima battuta prima rea confessa, ma poi ritrattò e le indagini e il processo durarono dal 1574 al 1580.

Antonio Mussa che fu il testimone a carico dell’accusa in un primo tempo accusò la Lucrezia Sabbiona di stregoneria, in un secondo tempo smentì le accuse e venne a sua volta condannato dal tribunale ad una pubblica e umiliante punizione perché aveva reso falsa testimonianza. Il Mussa dovrà percorrere la strada che va dalla Chiesa alla porta del paese e ritorno in più, dovrà subire l’esposizione sul sagrato per due feste consecutive in ginocchio con in mano una candela accesa e in seguito fare tre pellegrinaggi alla cappella dei Piani. Cosa strana la sentenza del Mussa, il bugiardo accusatore, sarà pronunciata con solennità nella sala del castello di Denice perché lui ha fatto un reato perseguibile dalla legge civile: falsa testimonianza. Mentre la Sabbiona viene alla fine solo accusata d’infedeltà religiosa e con l’abiura dei suoi presunti comportamenti da strega fanno sì che sia riaccolta anche se con l’impegno della penitenza tra le braccia della Chiesa.

Tommy era felice d’aver terminato il suo intervento, si sentiva sicuro d’aver stupito ed emozionato al tempo stesso i suoi nuovi amici, sicuramente era la storia di strega più complessa che si fosse sentita raccontare sul fienile.

Tommy il rosso guardò i suoi amici con aria di sfida come a dire:

«

Provate a raccontare un episodio di streghe di cui si abbia conoscenza degli atti del tribunale! Questa è un fatto vero… qui carta canta, non come le vostre storie, che sono parole mosse nel vento! Voi avete raccontato fatti, che tutti qua in valle sanno, le conosco perfino io che sono la prima volta che partecipo!»

.

Il gatto della canonica stava per aprir bocca, ma si morse la lingua appena in tempo perché realizzò in fretta che era successa una cosa strana nei secoli: la storia di Lucrezia era ricordata solo più nei libri e se nessuno fosse andato a rovistare negli archivi sarebbe stata morta e sepolta.

Lucrezia era stata dipinta come una strega, ma il quadro d’insieme era troppo perfetto, il suo comportamento sembrava tratto dal più classico manuale da inquisitore domenicano. Alla fine, a ben pensarci, era un processo costruito ad arte e la Sabbiona stessa riuscì a salvarsi rinnegando la precedente confessione estorta, altrimenti chissà quale terribile condanna le sarebbe stata inflitta.

Omissis…

 

di Maria Antonietta Doglio.

 

 

Ti potrebbe piacere anche

Lascia un commento