LETTURE DANTESCHE E la Mostra MEMORIE D’ACQUA Tracce Traiettorie Transizioni

di GIOVANNI

Sabato 13 agosto, alle ore 17, nell’Oratorio SS. Fabiano e Sebastiano di Mombaldone si terranno Letture dantesche. Canti scelti della Divina Commedia saranno letti da Enzo Bensi e Ilaria Scaliti e commentati dal professor Andrea Robiglio.

 

Andrea Aldo Robiglio è, dall’ottobre 2010, professore di Storia della filosofia presso l’Università di Lovanio nelle Fiandre. Dopo aver conseguito il dottorato in Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha lavorato presso le università di Nimega (Olanda), Lovanio (Belgio) e Fribourg (Svizzera), oltreché presso il “Centre de recherches historiques” della École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi (Francia) e tenuto corsi presso altre importanti università europee. Le questioni di antropologia filosofica sono al centro della sua ricerca, la quale predilige l’indagine di carattere storico–filosofico e si rivolge, di preferenza, ai secoli tardomedievali ed alla prima età moderna. Nelle sue pubblicazioni, Robiglio si è occupato della dottrina medievale della volontà, della tradizione tomista medievale e rinascimentale, del concetto di nobiltà, del pensiero di Dante Alighieri, e dei rapporti tra tradizione neo–scolastica e pensiero fenomenologico. Di questi temi ha scritto in numerosi volumi e riviste specialistiche.

 

A seguire verrà inaugurata, presso la Biblioteca civica “Enrico Bonino”, la mostra “Memorie d’acqua | Tracce Traiettorie Transizioni” di Ivano A. Antonazzo, artista multimediale, progettista grafico, illustratore, da oltre trent’anni impegnato nella ricerca artistica sulle interazioni tra immagine, parola e suono; gli strumenti creativi di ogni giorno sono il computer e la carta, pennelli e tavoletta grafica, macchine fotografiche e microfoni; ma, prima di tutto, una penna biro per tracciare segni, fissare idee, evocare sensazioni.

 

Scrive, tra l’altro, Carlo Prosperi, curatore della mostra: “L’acqua con la sua labilità si presta magnificamente ad assemprare l’aspetto transeunte della vita, ma, in quanto specchio, consente all’uomo di riconoscersi e di cogliere in essa riflessi di sé, tracce del suo passaggio nel mondo, barbagli della natura che lo circonda, testimonianze del susseguirsi delle stagioni e delle generazioni.

È allora evidente che il titolo, Memorie d’acqua, si arricchisce di un’implicita ambiguità, a seconda del valore, soggettivo o oggettivo, che si vuole attribuire al complemento di specificazione. Ed è appunto su tale ambiguità che gioca Ivano A. Antonazzo nel presentare questa sua mostra di carattere multimediale a Mombaldone. I lavori qui esposti si attengono in genere alla triade tematica “ambiente, acqua, memoria”, in un rimando continuo, dialettico e dialogico, tra paesaggi naturali e paesaggi interiori. Talora l’immedesimazione tra le due dimensioni sembra a portata di mano, se non fosse che l’azione metamorfica del tempo impedisce una perfetta collimazione e induce una sorta di spaesamento. Allora, montalianamente, «il calcolo dei dadi più non torna» e più non torna il passato, giacché gli stessi dati memoriali che parevano averlo colto e fermato s’affiocano e si sfuocano. Mutano anch’essi, impercettibilmente, ora addolcendosi ora inasprendosi, a sorpresa. E lo struggente desiderio del ritorno, la nostalgia, degenera in vertigine, in smarrimento. Ritornare dove, se i gelsi ubertosi di un tempo sono scomparsi? Se l’«io / bambino / e in bicicletta» si è perso tra tante altre «reliquie di vita trascorsa»? Solo chiudendo gli occhi, così da annichilire la realtà degradata che ci assedia, si può ridestare la memoria, ridarle vita. E illudersi per tale via di dare un senso al proprio vissuto.

Antonazzo in questo è un autentico poeta, così quando rievoca certe languidi meriggi agostani, in cui il sollievo, se non la salvezza, consiste nell’«essere torrente»: «E il lento pomeriggio si consuma più in là / bianchissimo sui campi di stoppie / nel volo pesante del corvo e del sole / o disciolto nell’aria che trema / e salendo abbandona / presagi di vetro sulla via lontana. // Là ma non qui / dove il camminare nell’acqua / è ciò che basta a sentirsi anche un po’ torrente». Versi panici, di vera «stregoneria evocatrice», avrebbe detto Rimbaud. Lo spazio si divarica: da una parte l’incandescenza che abbacina e ottunde, dall’altra «l’ombra riparatrice» dei rami, l’amniotica frescura dell’acqua che scorre. L’antitesi si condensa in due deittici: un e un qui. L’essenza del chiaroscuro.

Ebbene, ricordare, nella trance di questo suo “abitare poeticamente il mondo”, per Antonazzo equivale a fissare in una trama «istantanee fragilissime», a «disegnare campi stinti / mari di mais / senza dettagli / corvi e smarriti gelsi»: nella speranza di ritrovarne, «al risveglio», qualche traccia che possa dare un’idea dell’incanto perduto. Il poeta diventa allora pittore, magari a partire da schizzi, abbozzi o scarabocchi, all’insegna di un’istintiva gestualità, di «una semplicità che sia in grado di raccontare [cioè di suggerire] più di ciò che mostra». Parole sue, da prendere come una dichiarazione di poetica. Idee, sensazioni, sentimenti si traducono così in immagini stilizzate, più evocative che rappresentative. Senza sfondo. Come nei sogni.”

 

La mostra rimarrà aperta sino al 4 settembre con orario sabato e domenica dalle 16,30 alle  19,30.

                                                                                    foto di Giovanni Grillo

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