La bella strada che passava, e passa, per Ponti, risalendo la Bormida di Spigno e menando a Savona, era a’ suoi tempi per tutti “ lo stradone di Napoleone”; e la gente di la’ quando celiava sul parlare di quei
“ boulicouge” di Francesi e giocava sul bisticcio del francese “route-strada” e del piemontese “ rota- ruta- rotta”, soleva dire in proposito, così:“ La strada grande, che l’ha fatta far Napoleone di nuovo, i Francesi, figurarsi, dicon che l’è rotta”.E se si incontrava per via qualcuno che andasse diritto a furia per suo cammino, senza che si sapesse ne’ dove ne’ perché, da noi gli si domandava in confidenza scherzando: “se andasse a pigliar Mosca”.E ancora a quei tempi, da noi, le mamme cantavano ai bimbi in culla una loro nenia italomonferrina, che finiva, malinconicamente, così:
Napoleon mi l’era
Napoleon son stato
Padron di tutto lo Stato
E adesso nol son più,
E adeeesso…nool….son…piùu!
C’era una stanza nella canonica di Ponti, la stanza dei quadri, le cui pareti erano tapezzate di tanti quadretti rettangolari, bianchi entro cornici nere, tutti identici e simmetrici: erano stampe che rappresentavano particolari episodi della vita di Napoleone; non ci andava mai nessuno in quella stanza: solamente ci si intratteneva assai spesso da piccolino mio papà, il quale vi passava delle ore estatico a contemplar quelle figure.
Morto il Prete, i quadri passarono al mulino, poi dal mulino di Ponti a quel di Monastero, e quindi, buona parte, a Torino, insieme con tante altre cose, che tutti di casa, ma non mai mio padre, erano concordi nel dichiarar inutili e impicciose