Tra favola e realtà:
il fantasma del cavalier Castaldo
Il fantasma del cavalier Castaldo si annoiava un po’ dall’alto della torre, guardava il paese che giaceva assopito nella calura estiva.
Il cavaliere longobardo si era lì rifugiato secoli e secoli prima, forse a pensarci bene erano i primi decenni del 1300 quando Castaldo decise di scegliere come dimora la torre dei del Carretto a Denice.
Viveva tranquillo all’interno di questa particolare costruzione, intanto nessuno si poteva accorgere di lui, essere un fantasma aveva i suoi vantaggi.
Strana è la sua storia, alla disfatta del regno longobardo nel lontano 774 d.C. non volle abbandonare questo borgo, dove aveva trovato l’amore: la bella Imelda.
Vivere nel borgo all’inizio non era semplice, allora preferì abitare le case che già erano state dimore del suo popolo, in fondo i longobardi erano stati una forte presenza sul territorio di Denice, tanto da assegnare il nome al borgo e pure molte case o terreni erano stati “battezzati” con nomi germanici tipici longobardi.
Castaldo, perciò amava abitare in queste case dai nomi a lui familiari, che lo facevano sentire a casa e intanto cercava, aspettava, e desiderava ritrovare la sua Imelda.
Ma chi era Imelda?
Era una principessa longobarda bellissima, molto alta per lo standard dell’epoca, dai capelli biondi intensamente ramati, gli occhi chiari che cambiavano sfumatura di colore a secondo della luce del sole, spaziavano dall’azzurro cielo al verde acqua, per farla breve era stupenda, era la sua amata.
Nelle varie scorribande militari nel Piemonte e poi in Val Bormida erano stati separati dagli eventi, lui al comando di pochi uomini era rimasto a difender le retrovie, lei protetta e scortata come si suole a una principessa si era allontanata dalle battaglie, ma si erano dato l’appuntamento nel borgo di “Adenicis” oggi chiamato semplicemente Denice e ancor oggi Castaldo l’attende.
Per i due innamorati il borgo dal nome longobardo indicava casa, famiglia, amore, significava finalmente essere insieme.
I primi secoli Castaldo li passò abitando nelle soffitte delle cascine della Braia del Cirio, del Brè e del Buri, essendo morto in uno scontro all’arma bianca nel tentativo di difendere la fuga della sua amata Imelda e diventato fantasma si era rifugiato a turno in fienili o sottotetti di questi cascinali.
Non rimaneva troppo tempo nello stesso posto, dopo un po’, magari dopo cinquant’anni, gli abitanti della casa s’insospettivano della sua presenza o meglio erano stanchi di sentire scricchiolii, rumori strani e sospetti, allora Castaldo cambiava dimora.
Passava il suo tempo a scrutare le strade, nell’attesa di veder spuntare la chioma rosseggiante della sua Imelda, vederla giungere a cavallo come l’aveva vista l’ultima volta, era il suo più grande desiderio.
Aveva scelto d’abitare in queste tre cascine: al Buri, alla Braia del Cirio e al Brè, perché erano state abitate da soldati longobardi che avevano sposato ragazze del luogo o in alcuni luoghi avevano costruito il loro quartiere generale, e avevano dato di conseguenza il nome germanico alle località. Abitare in quei posti lo faceva sentire a casa, anche se la Germania era molto molto lontana.
Poi col tempo era sorta la torre nel borgo, bellissima, alta, da lì poteva vedere chiunque arrivasse! Decise di trasferirsi in pianta stabile nel torrione, ora era sicuro e tranquillo di non disturbare gli abitanti del borgo, che non si sarebbero troppo curati di scricchiolii e rumori strani, e poi come si confà a un cavaliere dalle buone maniere, sarebbe uscito solo la notte, muovendosi con la massima discrezione.
Se Imelda finalmente fosse arrivata, lui sarebbe stato lì ad aspettarla e sarebbe stato il primo a vederla e ad andargli incontro e finalmente sarebbero potuti stare assieme per l’eternità.
Passava il suo tempo a osservare i denicesi, guardava gli amori sbocciare e sfiorire, le liti nascere e finire, guardava lo scorrere della Bormida il suo ingrossarsi per un’alluvione e il ritirarsi delle acque fino a renderla attraversabile, era attento a quel che succedeva… al cader della neve, a un temporale con la grandine… lui pensava sempre al viaggio di ritorno e all’incolumità della sua amata Imelda.
Ora nella calura estiva spazzata via dalla brezza dall’alto della “sua” torre il cavalier Castaldo, che da secoli aveva deposto le armi, viveva nell’attesa, nell’osservazione.
Quante storie avrebbe potuto raccontare alla sua principessa se solo lei fosse giunta a Denice, ormai il cavalier Castaldo si considerava la memoria storica del luogo.
Dall’alto della torre Castaldo ricordava a se stesso, ogni giorno, di quando la principessa Imelda l’aveva investito paladino, sì suo cavaliere servente, amante e amico fedele.
Rammentava ogni giorno i suoi baci, questo gli dava la forza di resistere nell’attesa di rivederla.
Quanta malinconia e speranze racchiudevano questi ricordi.
Mah… chissà cosa la vita da fantasma riserverà al giovane cavaliere longobardo?
Ora vive un periodo di aspettative, son giunti nel borgo e nelle frazioni molti giovani germanici di stirpe longobarda, o meglio ha sentito che li chiamano danesi, olandesi, tedeschi, svizzeri, la lingua che parlano un po’ la capisce, se sono arrivati loro cresce in lui la speranza, ormai sarà questioni di giorni o forse anni o secoli, Imelda arriverà.
Castaldo pensava: “Per ora la mia principessa ha mandato in avanscoperta la sua corte a preparare la reggia. Quando arriverà a Denice finalmente avremo rispettato il nostro patto d’amore, ci sposeremo e come nella più bella favola vivremo felici e contenti circondati da biondi capelli, lunghe barbe e occhi chiari e parlare germanico”.
E mentre il tempo passa, uno zeffiro leggero soffia, la tramontana sferza e il vento marino accarezza i merli dell’antica torre, cullando Castaldo nei suoi ricordi d’amore.
Lui rimane lì come osservatore ogni presente, unico testimone sconosciuto della vita dei denicesi: il fantasma nella “sua” torre.