Dai Sansossi di Augusto Monti

di Marina Levo

Il sindaco di Spigno Monferrato, Antonio Visconti, ha pubblicato sulla rivista Iter l’articolo intitolato “ La stazione di Spigno lungo una ferrovia  che ha segnato un’epoca. Nel 1874 inaugurata la linea in Val Bormida”.

La presentazione dell’argomento ha suggerito a Gianfranco Ferraris, attuale segretario in diversi comuni tra cui Ponti, un brano de I Sansossi di Augusto Monti, in cui la storia personale del padre, Bartolomeo Monti, all’epoca della costruzione della linea ferroviaria Alessandria Savona, segretario comunale a Ponti e Castelletto d’Erro, si incrocia con i lavori di costruzione della stessa, in quale modo si comprende  dalla lettura del brano che ho riportato a seguire…

Al tempo dei lavori per la ferrovia, per esempio. Ricordava bene, che’ gli pareva ieri. Papà, come segretario del comune, s’era dovuto immischiare di quelle cose, per debito d’ufficio e di coscienza, aveva dovuto tutelare gli interessi di Ponti. E, come uomo pratico ed avveduto – avveduto, si capisce, negli affari degli altri, – quegli interessi mirabilmente aveva tutelati. Piante, disegni, contratti, capitolati, regolamenti alla mano aveva vigilato che tutto “ per quanto aveva tratto al comune di Ponti”, fosse fatto a norma di legge e a regola d’arte, e non ci fossero, nei lavori e nelle costruzioni, ne’ mangerie ne’ negligenze. Ma aveva dovuto sudar sangue perciò, e combattere con assistenti, ingegneri, impresari, ed esser sui lavori giorno e notte, e farsi rider  dietro dal Genio Civile, che gli domandava che cosa gliene veniva in tasca per tanto scalmanarsi, e respinger lusinghe e tener testa a minaccie; e una volta, specialmente, affrontare una tempesta tremenda, perché un certo muro di sostegno, che doveva esser tutto costruito in muratura, calce cemento e mattoni, invece Papà era stato avvertito che nella parte interrata, lo stavan facendo tutto a secco, con carriolate di breccia buttate giù alla cieca, che guai se continuava così; e il segretario comunale era accorso , tempestando, e s’era fatto sentire: “ che disfacessero quella roba, e che tornassero a rifare, subito, alla svelta, e senza rifiatare; o che lui avrebbe denunciato la banda; e qualcuno sarebbe finito in galera. Fuori dai confini di Ponti si accomodassero. Per Ponti, vegliava lui, Bartolomeo Monti. E che tutti rigassero dritto.”

E avevano rigato dritto quella gente, pur imprecando e digrignando i denti e masticando minaccie.

Ma tutto ciò a cosa era valso? Ma intanto a Bistagno , ad Acqui, in quei “palazzi di giustizia” le cose come erano andate? Intendeva dire le cose della sua lite, quella che egli aveva con Luigi, e che proprio in quel tempo si doveva decidere? Era andata come la era andata. Proprio in quei giorni che lui era tanto occupato, e che aveva sulle braccia tutti i lavori della linea, allez, la faccenda era stata definita, la sentenza pronunciata. Nella schiena a lui, si capisce. I danni e le spese. Un accidente a secco alla giustizia della nuova Italia.

……………..

Bistagno, Acqui, il Tribunale Civile: il covo del serpentaccio: l’altro del drago. La’ certo avevano fatto capo gli offesi: qualche ordine era partito, qualche bottone premuto, la molla era scattata e la trappola s’era richiusa sul topolino ingenuo e irrequieto. E il topolino era lui, Papà. E i nemici erano sempre quelli: i nemici delle cose giuste, delle cose nette. I nemici suoi. I nemici dell’Italia.

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