Intervento sul milite ignoto di Vittorio Rapetti

di Marina Levo

INTERVENTO MILITE IGNOTOSpigno 4.11.2021Vittorio Rapetti.

Sono onorato di essere qui con voi in questa momento di memoria. Saluto le autorità militari e civili presenti, gli insegnanti e gli alunni della scuola di Spigno.

Ringrazio il sindaco per l’invito e soprattutto per aver pensato di inserire in questa cerimonia una riflessione storica.

Potrebbe sorgere il dubbio che questa lapide e l’incontro di stamane abbia una eco piuttosto flebile nella vita di oggi. In effetti siamo qui a mettere un segno di memoria relativo a una commemorazione, come dire: siamo alla memoria della memoria. Proviamo allora a ricordare brevemente il senso di quello che stiamo facendo, a beneficio dei più giovani, ma anche degli adulti.

Dobbiamo risalire a oltre 100 anni orsono, al 1914-15, quando inizia la 1° guerra mondiale e quando il governo italiano decide di entrare in questo conflitto. L’Italia era divisa tra una minoranza di interventisti ed una maggioranza di contrari all’entrata in guerra. Prevalsero gli interessi di pochi e le ambizioni di alcuni a rendere l’Italia una grande potenza. Prevalsero in generale i cosiddetti “interessi nazionali”, ossia quella visione nazionalista nei rapporti tra gli stati, che pone il dominio e l’esaltazione della propria identità sopra la possibilità della collaborazione e dell’integrazione tra popoli e stati. E così l’idea della “guerra giusta” fece da schermo e giustificazione a motivi di ben altro genere.

A dispetto di quanto supponevano i generali, la guerra fu lunga e sanguinosa. Tutte le classi sociali, e soprattutto quella contadina, diedero il loro tributo di sangue. Le vittime militari e civili superarono i 41 milioni, tra cui oltre 1 milione di italiani. Molti altri furono gli effetti umani e sociali, materiali e morali sulle famiglie e gli individui: invalidi, impazziti, costretti a lasciare le proprie case, …

Il contraccolpo sulle società europee fu tremendo. Le strategie militari puntarono sulle battaglie di massa, che provocarono enormi perdite umane, magari per conquistare pochi km di terreno, persi sovente nella successiva controffensiva (famose sul fronte italiano le battaglie sull’Isonzo). La devastazione provocata dalle bombe fece sì che in molti casi i soldati morti fossero irriconoscibili e non potessero quindi essere identificati. Da qui nasce in diversi paesi europei, all’indomani della fine della guerra, nel 1919, il desiderio di ricordarli.

Accanto alle lapidi e ai cippi che segnalano i nomi dei caduti e che in tutti i nostri paesi ricordano quanti giovani non fecero più ritorno dal fronte, resta però un vuoto, costituito appunto dai morti che non avevano un nome e finivano per essere cancellati anche dalla memoria. Nei molti sacrari e cimiteri di guerra sono innumerevoli le croci e le tombe prive di un nome.

Nel 1920 le associazioni dei combattenti approvano la proposta del colonnello Giulio Douhet di onorare i caduti con un monumento al Milite Ignoto a Roma: «Che la salma di un soldato italiano, che non si sia riusciti a identificare, rimasto ucciso in combattimento, sul campo, venga solennemente trasportata a Roma e collocata al Pantheon, simbolo della grandezza di tutti i soldati d’Italia, segno della riconoscenza dell’Italia verso tutti i suoi figli, altare del sacro culto della Patria». La proposta viene raccolta e approvata all’unanimità e senza dibattito dal parlamento italiano nell’agosto del 1921, si decide però di collocare la salma del milite ignoto non al Pantheon – come proposto da Douhet – ma al Vittoriano, imponente monumento dedicato a Vittorio Emanuele II, comunemente chiamato “Altare della Patria”.

Vale la pena ricordare chi fosse l’autore della proposta. Douhet era un ufficiale piuttosto noto non solo per la teoria dell’impiego in guerra dell’aviazione, ma anche perchè aveva avuto forti contrasti col generale Cadorna, comandante in capo dell’esercito italiano, circa il modo di condurre la guerra. Le sue critiche, notificate ai ministri, gli costarono la galera già nel 1916. Il suo giudizio nei confronti delle gerarchie militari si aggravò ulteriormente dopo la sconfitta di Caporetto, che Cadorna addebitava alla vigliaccheria dei soldati italiani. Un’accusa che molti giudicano una vera e propria calunnia, nel tentativo di scaricare le responsabilità della disfatta. In ogni modo Douhet nelle sue dichiarazioni nel 1920 esalta la figura del soldato italiano «Tutto sopportò e vinse il soldato. Dall’ingiuria gratuita dei politicanti e dei giornalastri alla calunnia feroce a scarico di una terribile responsabilità. Tutto sopportò e tutto vinse, da solo. Al soldato bisogna conferire il sommo onore. Nel Pantheon deve trovare la sua degna tomba. Nel giorno in cui la salma giungerà al luogo di eterno riposo, tutta l’Italia deve vibrare all’unisono in una concorde armonia d’affetti. Tutti i cittadini debbono far ala al figlio e fratello di tutti, spentosi nella difesa della madre comune».

Sono parole molto chiare: da un lato si rivolgono accuse e si chiama alla responsabilità, dall’altra si invoca l’unità del popolo italiano nel rendere onore al soldato ignoto. Non è scontato ricordare questo aspetto, se considerate che gli anni 1919-1921 furono tra i periodi di più forte e aspra divisione politica e sociale che la storia italiana ricordi, tensioni che aprirono la strada all’affermazione violenta del fascismo. Proprio il fascismo avrebbe usato la memoria della guerra e dei caduti in chiave ideologica per esaltare il valore della guerra stessa e condurre l’Italia al successivo conflitto mondiale.

E’ dunque in questo clima di forte tensione che nasce la memoria del Milite ignoto e forse si capisce perché il parlamento decise di non aprire nessun dibattito sulla proposta. Molti sperano che proprio l’unità intorno a questo simbolo del sacrificio possa giovare a trovare motivi di unità per il futuro.

Nella basilica di Aquileia in Friuli, il 28 ottobre 1921, si tiene la celebrazione che apre questo rito, in essa si intreccia l’aspetto religioso a quello civile, che precede il trasporto della salma a Roma. La signora Maria Bergamas di Trieste, madre di un giovane morto in guerra, è chiamata a scegliere la salma del soldato ignoto, che dovrà rappresentarli tutti. Il treno con il feretro parte da Aquileia il 28 ottobre e, come inuna specie di pellegrinaggio, attraversa lentissimo le stazioni di città e paesi, affollate di persone che portano un silenzioso omaggio a questo simbolo dei caduti. Così giunge a Roma il 4 novembre 1921, terzo anniversario della fine della guerra. Una solenne cerimonia chiude il percorso e rende la massima evidenza all’onore per il soldato sconosciuto. Una cerimonia che da allora si rinnova ogni anno con le massime cariche dello stato.

Quale messaggio attuale può consegnarci questa commemorazione? Che cosa può voler dire per noi oggi quel valore della Patria, in nome del quale tanti giovani lasciarono le loro vite.

Anzitutto direi che il valore della Patria ci riguarda oggi, tutti e ciascuno, in quanto cittadini, di questo stato, che siamo chiamati a servire con dignità e onore, per noi, per il futuro dei nostri ragazzi, per il rispetto che dobbiamo a quanti ci hanno preceduto. E’ un valore comune, che non può essere né divenire di parte. E’ un valore da vivere quotidianamente nello svolgimento delle nostre attività e nel modo in cui ci formiamo ed esprimiamo i nostri giudizi; ossia un valore non semplicemente da proclamare in qualche occasione o per interessi particolari. Avere a cuore la Patria e servirla significa oggi avere cura e impegno per cercare e costruire il bene comune. Bene comune non è una espressione generica, ma va riferita ai principi e valori indicati dalla nostra Costituzione: libertà e giustizia, uguaglianza e dignità di ciascuna persona, solidarietà e pace.

 

Per questo direi che la commemorazione del Milite Ignoto ci conduce a dueriflessioni, senza pretendere di esaurire una discussione molto ampia in proposito.

La prima riflessione riguarda il ruolo delle istituzioni. E’ attraverso di esse, 100 anni fa come oggi, che si possono raccogliere i sentimenti – magari contrastanti – di una popolazione, di una società, per trovare elementi e motivi di unità. Certo è drammatico che questa unità venga trovata intorno al sacrificio anonimo, di qualcuno che potrebbe essere ciascuno di noi, proprio perché ignoto, spogliato di quelle caratteristiche che ci differenziano. E’ perciò da auspicare che le istituzioni – e coloro che più direttamente le rappresentano – riescano sempre di più ad operare per costruire un futuro di vita, e non solo onorare un passato di dolore e di morte. In ogni caso è chiaro come da questa commemorazione dobbiamo ricavare un’alta considerazione, rispetto e senso di collaborazione per le nostre istituzioni democratiche, perché esse ci rappresentano aldilà delle differenze sociali, politiche, religiose. Dire “istituzioni democratiche”, significa riferirsi a quei punti di forza della nostra convivenza civile, tra le quali hanno un ruolo importante le nostre Forze Armate, che non a caso celebrano proprio oggi la Festa annuale ed in cui giustamente facciamo memoria non solo dei caduti della 1° g.m. ma anche di tutte le guerre e dei caduti più recenti nelle missioni di pace, in cui le nostre F.A. sono impegnate.

Dire “istituzioni democratiche”, significa dire una cosa ben importante e precisa: il riferimento alla nostra Costituzione. Che – nello specifico del nostro incontro- ci richiama a quanto scritto nell’art. 11: L’Italia ripudia la guerra come strumento per risolvere i contrasti.  

E proprio questo richiamo fondamentale alla nostra Costituzione ci introduce allaseconda riflessione, che riguarda la guerra: l’anniversario di una vittoria militare (che per l’Italia è LA vittoria per antonomasia) ci celebra intorno ad una tomba e per di più una tomba anonima.   A dispetto di tutta la retorica che sovente ha caratterizzato le commemorazioni, il dato evidente e oggettivo è questo: la guerra produce morte e l’eroismo che essa richiede porta addirittura alla distruzione del nome, dell’identità della persona. E’ un esito terribile, che aggiunge alla morte fisica anche l’oblio, la perdita definitiva della memoria. Forse la retorica che sovente si intreccia alle commemorazioni non è solo frutto dell’ideologia che esalta la guerra, ma palesa il tentativo di riempire un abisso incolmabile, di sovrastare un silenzio pauroso, di dare luce apparente ad un buio incomprensibile. Si urla, insomma, per darsi coraggio, ma fors’anche per distogliere lo sguardo da quell’abisso e da quel buio, per distrarre l’orecchio da quel silenzio. Oggi purtroppo nel mondo vi sono guerre che producono morte e sofferenza; aumentano gli investimenti nella produzione e commercio di armi, ritorna anche in Europa la tentazione del nazionalismo e dello scontro. Ma la guerra non è inevitabile, dipende dalle scelte degli uomini, dal nostro modo di pensare e di agire.

Che l’occasione di oggi ci aiuti a fare memoria dell’assurdità della guerra e del valore supremo della vita umana, di ciascuna vita.  

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