La Stampa 08/06/1975 : quando si pensava che Renato Curcio fosse presente alla Spiotta

di Marina Levo

 

Pare ormai certo che Renato Curcio sia stato nella cascina: è lui il ferito? Sarebbe stato aiutato a fuggire da un complice – Lo stesso commando che ha rapito Vittorio Vallarino Gancia, guidato da Margherita Cagol, aveva fatto evadere da Casale il capo delle Brigate rosse –
La scoperta casuale del cascinale (Dal nostro inviato speciale) Acqui, 7 giugno.

Adesso, dopo il convulso susseguirsi di ore drammatiche e colpi di scena, si riflette e si medita su ciò che è accaduto, si cerca di fare il punto della situazione. Tre carabinieri feriti (uno, l’appuntato D’Alfonso, è in fin di vita); la brigatista Margherita Cagol, moglie di Renato Curcio, uccisa; un importante covo dei guerriglieri portato alla luce; un brigatista. Massimo Maraschi, arrestato: i complici in fuga, tra cui, pare ormai certo, il capo carismatico delle Br. E ancora: il «commando» che ha sequestrato mercoledì pomeriggio Vittorio Vallarino Gancia era composto da sette o otto individui, ed è lo stesso che il 18 febbraio scorso — Margherita Cagol in testa — ha fatto evadere dal carcere di Casale Monferrato Renato Curcio.
In tutti e due gli episodi, i brigatisti hanno usato la medesima tecnica. Hanno simulato di essere operai addetti alla riparazione di una linea telefonica. L’hanno riferito i testimoni dell’evasione, l’ha riferito Vallarino Gancia. Come se non bastasse, nella cascina Spiotta di Arzello, i carabinieri hanno trovato delle tute nuove, color senape, solitamente usate dai tecnici dei telefoni
. La cronaca delle indagini di oggi: alle 11, accompagnato dal capitano Sechi dell’antiterrorismo, arriva alla caserma dei carabinieri di Acqui il giudice istruttore di Torino, dottor Giancarlo Caselli. E’ il magistrato che indaga sulle Brigate rosse, ha fatto arrestare Curcio, aveva emesso mandato di cattura per la Cagol, aveva citato come teste, un anno fa, il Maraschi, ma non era riuscito a parlargli.
Dopo una breve sosta in caserma, si trasferisce alla procura della Repubblica dove si intrattiene col dottor Da Tovo fino alle 13,20. Ai cronisti che gli si affollano intorno esclama piuttosto seccato: «E’ come se non ci fossi, non ho nulla da dirvi».
Un’ora dopo, sono le 12, arriva il generale Dalla Chiesa. «Ho finito — sono le sue parole —, dopo le affermazioni di certi giornali, non parlo più con voi. Non posso dire in faccia ciò che penso, né intendo fare delle discriminazioni, accettando il dialogo solo con alcuni di voi, e non con gli altri». E’ uno sfogo motivato, provocato da certe supposizioni, del tutto gratuite, avanzate da un paio di giornali sulla ricostruzione dell’antefatto che ha portato la pattuglia dei carabinieri alla cascina Spiotta. Non li riferiamo, perché la polemica non fa parte della cronaca. Più tardi, sono le 12,30, il generale Dalla Chiesa decide di far la «pace» con i cronisti che attendono nel piccolo ingresso della caserma. Comunica che non ci sono novità di rilievo, le indagini si muovono in tutte le direzioni, tra le armi rinvenute nella cascina ce ne sono alcune identiche a quelle sequestrate nel covo di Robbiano di Mediglia. Sulla scoperta casuale della cascina Spiotta, si sono appresi altri particolari. Un anno fa, i contadini della frazione Franzana, dove sorge il casolare, segnalarono ai carabinieri, pare proprio al tenente Rocca, che attorno alla cascina c’era uno strano movimento di giovani. L’ufficiale vi si recò parecchie volte, ma non trovò mai nessuno. Non aveva nessun elemento concreto per sospettare che fosse un covo di brigatisti, e quindi si limitò a tenerla d’occhio durante le normali operazioni di controllo, tra cui quella inchiesta «catastale» dei casolari di campagna, in corso da più di un anno, che ha come scopo il «censimento» di tutte le abitazioni sospette, basi eventuali di nuclei terroristici.
Giovedì mattina il tenente Rocca partì con la pattuglia per ispezionare alcune masserie, anche perché nel frattempo aveva saputo del sequestro Gancia. Ne visitò tre, poi salì alla Spiotta.
Il brigatista fuggito mentre la Cagol cadeva sotto i colpi dell’appuntato Barberis era il Curcio? Nessun nuovo elemento è emerso per rispondere in modo affermativo o negativo alla domanda. E gli altri del «commando» dov’erano? Sono stati avvisati via radio dell’arrivo dei carabinieri? Può darsi. Il fuggiasco dove ha trovato riparo? Siamo nel campo delle ipotesi, di concreto non c’è nulla. Pare certo, comunque, che il guerrigliero — forse ferito — è stato raccolto da un complice che l’attendeva sulla stradina sottostante, con un’auto. E’ una zona ideale per chi si voglia nascondere o far perdere le proprie tracce. Anche per questo le battute dei carabinieri e della polizia sono state sospese. Oggi pomeriggio il nucleo subacqueo dei carabinieri ha perlustrato il pozzo che si apre sull’aia della cascina, ma non ha trovato nulla d’interessante: qualche indumento, giornali, rifiuti. Intanto, come sempre accade in questi casi, giungono da ogni parte segnalazioni di gente che avrebbe visto il brigatista scampato al conflitto a fuoco. Ieri alcuni pescatori avrebbero assistito, a Fubine (Alessandria) ad una strana scena: tre uomini, scesi da una «124», avrebbero scaricato sul greto del Tanaro una persona ferita, o morta. Vistisi osservati, hanno caricato di nuovo il corpo sull’auto e si sono allontanati. E’ stato preso il numero di targa della «124» che risulterebbe rubata. Un’auto con targa portoghese sarebbe sfuggita a un posto di blocco: sopra viaggerebbero quattro uomini con armi ed esplosivi. Per restare nel campo delle «voci», oggi corre con insistenza anche questa : il parroco di un paese vicino, giorni fa, si sarebbe recato alla cascina Spiotta per la consueta benedizione delle case. Una donna — la Cagol — l’avrebbe invitato ad andarsene. C’è chi aggiunge che gli avrebbe puntato contro una pistola. Ma torniamo ai fatti concreti. La salma di Margherita Cagol è stata trasferita questa notte, sotto scorta dei carabinieri, a Trento dove stamane alle 8 è stata inumata. L’autopsia ha accertato che il proiettile calibro 9 sparato dall’appuntato Barberis le ha trapassato i polmoni, provocandole una lenta morte per soffocamento. Deve avere agonizzato mezz’ora, nell’erba, a pochi metri dai corpi dei carabinieri feriti dalle bombe che la brigatista aveva lanciato.

LaStampa 08/06/1975

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