Lettera di Quintino Sella a Saracco

di Marina Levo

Roma, maggio 1872

 

Caro Saracco,

nelle scorse settimane ti ho desiderato più volte. Vi furono trattative colla Società dei Canali Cavour pel riscatto, quistioni per la sollecita vendita di stabili demaniali. Ma da Firenze ebbi sempre la risposta che tu eri in Acqui.

Io capisco bene che tu te ne stia più volentieri in casa tua. So per prova quanto sia bella e cara la casa propria allietata da una moglie che si ama. Il mondo esterno alla casa appare allora come un noioso seccatore. Ne’ certo verrei a turbare la pace a te e alla tua angelica Virginia, se una recisa necessità non mi ci sforzasse.

La necessità indeclinabile nella quale mi trovo, è di dirti non solo come Ministro, ma soprattutto come vero amico, che non devo esercitare il tuo ufficio governativo in condizioni diverse da quelle in cui esercitano il loro. Vale a dire che anche a te tocca a risiedere laddove il tuo ufficio si esercita.

Mi dirai che ti pare di poterlo esercitare egualmente bene ad Acqui, facendo qualche scorsa in Firenze ora è più tardi in Roma. Non vedo che sia, ma, anche ammesso che fosse, tu mi hai insegnato che nella vita pubblica , l’essere non basta, ed anche l’apparenza importa egualmente.

Ora la tua assenza non solo è osservata, ma è severissimamente giudicata da molti nostri amici e da tutti i miei avversari ( e tu sai che non sono pochi! ).

Fra i deputati vi ha un mormorio crescente , si dice che io cacciai vecchio e benemerito impiegato per fare la nicchia non tanto all’uomo politico quanto al nipote ( credono Virginia , mia nipote) e che ora si dispensa da ogni obbligo di residenza, mentre ogni settimana si manda via qualche impiegato perché non va subito alla residenza assegnatagli. E mi si assicura che alla discussione sarà più ampiamente svolto il cenno che già ne fece il Toscanelli nella discussione dei provvedimenti finanziari.

Tu sai io sono uso a sfidare le dicerie e le calunnie, e si crede anzi che io abbia un certo gusto nel pigliarle di fronte. Ma in tutti i casi ad un patto , ed è di aver piena ragione nel mondo. Ora io mi rido di tutte le dicerie sulla nomina , perché sento che avevo tutte le ragioni del mondo per nominare te , uno degli uomini più ingegnosi ed attivi che io conosca, nel collocare a riposo il Pavese, per l’età ed il fisico assolutamente impotente . Ma nella questione della residenza abbiamo torto entrambi . La legge è uguale per tutti debba essere assioma che si applichi tanto più , quanto più alta è la posizione della persona cui si diferisce.

Io seppi solo in queste circostanze che ti credevo a Firenze, essere tu stato fatto sindaco ad Acqui. Corsi difilato da Lanza a lagnarmi che ti avesse nominato senza parlarmi. Rispose che il Prefetto o il Sottoprefetto ( non ricordo bene) gli aveva detto che non dissentiva e che supponeva perciò io fossi teco d’accordo. Ora si afferma che il Sindacato di Acqui non è una sinecura come potrebbe esserlo quello di un piccolo villaggio. Come diavolo si può fare il sindaco ad Acqui e l’impiegato governativo a Firenze?

Io ti prego quindi, e per te e per me, e per la cosa pubblica, di rinunciare al Sindacato e di venire a stabilire la tua residenza in Firenze, ora, e poscia  a Roma, onde esercitare il tuo ufficio cui si potranno addossare altri incarichi, onde occupare la tua attività ed il tuo ingegno . Mille saluti a Virginia ed abbimi sempre per il tuo aff.mo amico

 

Quintino Sella

 

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