Arandora Star: una tragedia dimenticata

di Marina Levo

Nel XIX secolo la Gran Bretagna restò la  destinazione privilegiata di espatrio di molti intellettuali, spesso perseguitati per ragioni politiche (basti ricordare, a tal proposito,  Ugo Foscolo e Giuseppe Mazzini) mentre dalla seconda metà dell’Ottocento il flusso migratorio mutò completamente fisionomia, divenendo un fenomeno di importanti proporzioni, che interessò soprattutto la manodopera giovanile alla ricerca di una nuova collocazione lavorativa a Londra e nelle grandi città industriali del nord. Certo è che nel 1901 si stimavano già più di 24.000 italiani residenti nel Regno Unito.L’avvento del Fascismo arrestò il flusso di spostamenti all’estero, ma la Gran Bretagna restò comunque un luogo di rifugio sicuro per molti Ebrei e antifascisti.Generalmente ben integrata, allo scoppio della seconda guerra mondiale  la comunità italiana presente nel regno di oltremanica soffrì restrizioni e internamenti che colpirono duramente anche coloro che avevano avversato il regime di Mussolini.Nella seconda guerra mondiale il gioco delle mutevoli alleanze e degli ingressi differiti nel conflitto ha significato per molti emarginazione e deportazione. Basti pensare ai giapponesi presenti negli Usa dopo Pearl Harbour  (7 dicembre 1941), agli italiani in Giappone, dopo l’armistizio, di cui I Maraini hanno lasciato vivido ricordo, e agli italiani nel Regno Unito che dopo l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) vennero costretti ad una emigrazione coatta verso il Canada in quanto ritenuti spie potenziali.A questi “nemici” vennero negati tutti i diritti compresi quelli previsti per i prigionieri di guerra sanciti dalla Convenzione di Ginevra e deportati recidendo legami con i loro parenti e affini inglesi.

In questo contesto una  delle storie meno conosciute della seconda guerra mondiale è la tragedia dell’Arandora Star, avvenuta poco dopo l’entrata in guerra dell’Italia, dopo il trionfale annuncio di Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia a Roma. La dichiarazione di guerra era  stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia.  Una folla oceanica assistette  al discorso di Benito Mussolini in Piazza Venezia a Roma in un caldo pomeriggio del 10 Giugno del 1940. Di fatto, l’Italia era entrata in guerra al fianco della Germania contro Gran Bretagna e Francia. Con la dichiarazione di guerra inoltrata, su ordine del Primo Ministro Inglese Winston Churchill, numerosi italiani residenti da anni in Gran Bretagna, con il solo sospetto che potessero essere delle spie del fascismo, furono internati e mandati in campi di prigionia “Aliens Camp”.La celebre espressione di Winston Churchill “collar the lot”, “metteteli tutti al guinzaglio”, sintetizza molto bene quegli anni di grande incertezza in cui la Gran Bretagna temeva un’invasione tedesca ed entrambi gli schieramenti applicarono l’internamento dei cittadini originari dei paesi nemici come misura preventiva contro lo spionaggio.Anche le loro famiglie residenti nelle città britanniche costiere furono oggetto delle misure restrittive adottate dal governo inglese e, costrette a trasferirsi in città, finirono prive di sostentamento e di assistenza, ignare della sorte dei congiunti deportati.Il paradosso fu che, a differenza dei soldati che, una volta catturati, assunsero lo status di prigionieri di guerra e poterono comunque appellarsi ai diritti riconosciuti dalle Convenzioni internazionali, i Civili Italiani, privi di norme di tutela, furono internati tra il 1940 ed il 1945 in vari paesi (quali Gran Bretagna, Francia, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica, Stati Uniti e territori coloniali), esposti all’arbitrio dei governi locali.Gli Italiani , emigrati da anni, si sentivano  parte integrante della Nazione che li aveva accolti e, anche se a fatica, avevano conquistato posizioni di tutto rispetto nel commercio, nella ristorazione, nella finanza, nell’industria dell’abbigliamento, nell’artigianato. Nonostante questo, gli uomini dai sedici  ai settantacinque  anni furono allontanati dalle proprie famiglie, lasciando nella disperazione mogli, bambini, anziani e persino figli arruolati con l’esercito di sua Maestà britannica. Il rastrellamento dei nostri connazionali fu fatto in modo sbrigativo e veloce, rassicurando le famiglie che gli uomini rastrellati sarebbero tornati a casa in pochi giorni.

L’obiettivo di Churchill era la deportazione dei prigionieri stranieri lontano dal Regno Unito. La mossa serviva a renderli completamente inoffensivi.  I campi di prigionia scelti dal governo Inglese, per i nostri connazionali, si trovavano in Canada e in Australia. Il governo del Regno Unito, per attuare questo piano strategico, decise di requisire una nave da crociera della Compagnia Blue Star Line, l’Arandora Star oltre ad altre quattro navi : la Monarch Bermuda, la Qeen Mary, la Duchess of York e la Dunera. L’Arandora Star, per questa occasione, venne riverniciata completamente di grigio, ma non fu apposto nessun segno di riconoscimento di nessuna organizzazione umanitaria.

Il primo Luglio del 1940, sotto il comando di Edgar Wallace Moulton, l’Arandora salpò dal porto di Liverpool, senza nessuna scorta. La destinazione era il Canada, dove circa 1500 uomini dovevano essere internati in un campo di prigionia. Esclusi gli 86 prigionieri di guerra, 200 guardie , 478 austriaci e tedeschi, 174 membri di equipaggio, circa 800 civili erano italiani, originari di varie regioni italiane.

Il 2 Luglio 1940, dopo un solo giorno di navigazione, alle sei  del mattino, a circa 125 miglia a nord dell’Irlanda, la nave fu silurata da un U-Boot U-47 comandato dall’asso dei sommergibili Gunther Prien. Il sommergibile tedesco l’aveva scambiata per una nave da guerra piena di armi, invece, fu un equivoco che sfociò in tragedia. In pochi attimi si era consumata una delle sciagure dell’emigrazione italiana,  tra le più tragiche della  storia della Seconda Guerra Mondiale. In circa trenta minuti la nave Arandora Star affondò, portandosi negli abissi dell’ oceano atlantico 446 cittadini italiani, emigrati da svariate parti d’Italia,molti piemontesi, una decina dalla provincia di Alessandria.

Numerose furono le vittime dell’Emilia Romagna, della Toscana, del Lazio, ma c’erano anche, abruzzesi, sardi, siciliani e anche otto molisani. 

La tragedia non ebbe contorni più tragici anche grazie all’opera di coordinamento all’evacuazione del comandante dell’Arandora Star Edgar Wallace Moulton e del capitano tedesco Otto Burfeind, prigioniero sull’Arandora e comandante della nave tedesca SS Adolph Woermann. Da encomio fu anche il comandante di un incrociatore canadese che aveva raccolto il may day, Henry De Wolf, che riuscì a mettere in salvo circa 600 passeggeri. I sopravvissuti in buone condizioni di salute, il 10 luglio del 1940, appena otto  giorni dopo la tragedia, vennero imbarcati sulla nave Dunera verso  Melbourne e, dopo due mesi di navigazione, il 2 settembre, giunsero in Australia.

Un pensiero va sia alle famiglie che, dopo svariati giorni dalla tragedia del mare, ebbero  la consapevolezza di quanto era successo con l’arrivo della lettera da parte del Segretario di Stato Britannico con la dicitura: “must be presumed missing and probabily lost” che attestava che il proprio congiunto risultava disperso e sia alle famiglie di coloro che furono rinvenuti senza vita sulle spiagge del nord dell’Irlanda e sepolti in cimiteri in un raggio di cento chilometri senza nessun segno di riconoscimento.

Ma chi erano gli alessandrini che perirono nel naufragio dell’Arandora Star? Eccone i nomi, segnati a volte errati nella lista passeggeri:

Giuseppe Eraldo Abrado, nato a Fubine il 15 aprile 1892

Nicolas Cavalli, nato a Felizzano il 6 maggio 1892

Luigi Marini, nato a Cuccaro il 6 gennaio 1912

Vincenzo Novelli, nato a Fubine l’8 luglio 1893

Cristoforo e Giuseppe Ravina nati a Fubine il 6 gennaio 1882  ed il 23 marzo 1884

Francesco Pelucco, nato a Quariento (AL) probabilmente Quargnento  il 12 aprile 1882

Alessandro Angelo Ricaldone, nato a Fubine il 3 dicembre 1892

Carlo Rota, nato a Giarole il 20 marzo 1898

Giuseppe Storto, nato a …. Monferrato (AL) il 18 novembre 1900

Giuseppe Bivogna ( in realtà Bigogna) nato ad Acqui Terme il 18 novembre 1900

Nelle generalità di questi uomini ricorrono date e si segnalano errori. Grazie al gentile aiuto del direttore dell’archivio vescovile di Acqui Terme, Walter Baglietto, è stato possibile recuperare l’atto di nascita di Giuseppe Bartolomeo Bigogna, nato a Lussito ( gli acquesi sanno benissimo dove si trova) da Paolo di Giuseppe e da Catterina Bruni, nativa di Strevi. La famiglia Bigogna si trovava a Lussito già decenni prima   ed erano contadini. Leggendo la stampa locale della fine dell’Ottocento, si segnala la figura di Biagio Bigogna, da Lussito, che perse la vita a Dogali e venne insignito della medaglia d’argento alla memoria, la sua famiglia ricevette anche una lettera “commossa” dal re Umberto. Forse Giuseppe e Biagio erano della stessa famiglia o forse no, ma furono involontarie vittime dei loro tempi. Almeno Biagio venne trattato da eroe, mentre la morte di Giuseppe, scomoda per diversi motivi, fu dimenticata dal suo Paese.

Spero che scrivere i nomi delle altre povere vittime,  nate a pochi passi da noi, possa essere un doveroso ricordo, per loro e per le loro famiglie, se qualcuno ha ancora qualche reminiscenza di questa tragica vicenda. Ringrazio a questo proposito Dennis e Patrizia che mi hanno segnalato il libro di Maura Maffei intitolato Quel che l’abisso tace, dedicato al naufragio dell’Arandora Star.

 

 

 

 

 

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