Emozioni da un paese del Monferrato di Patrizia Nidosio

di Aleramo Monferrato

 

 

Buongiorno, sono Pietra, sono una pietra.

Vivo sulla torre e sono una pietra angolare, in alto, molto in alto, sotto un archetto e non ricordo più da quanto tempo, forse mille anni, forse meno.

Non so dove stavo prima ma, all’improvviso, mi sono ritrovata tra le mani di uomini, che mi hanno squadrata e portata quassù, immersa nel cielo.

Da qui ho visto tanti uomini, esausti di fatica, salire e scendere su le scale di legno con altre pietre e legni, hanno reso la torre abitabile e bella. Sopra di me hanno costruito i “merli” che si sentivano privilegiati perché al di sopra di tutto ma, col passare degli anni, le tempeste, l’aggressività degli umani e la loro incuria li hanno feriti e poco alla volta sono caduti rovinosamente e sono tornati alla terra a tappare i buchi delle case.

In tutto questo tempo ne ho viste di tutti i colori, i colori del sole cocente, delle tempeste cariche di pioggia dilavante o di fulmini dirompenti. Ho conosciuto animali del cielo che si sono riparati negli anfratti della torre o che si sono riposati all’ombra di noi pietre, ma soprattutto ho visto uomini e donne. Ho sentito i guardiani della torre urlare e piangere, quando faceva tanto freddo nella torre e scendevano nelle stalle a scaldarsi con gli animali, ma poi dovevano risalire fin quassù per tenersi d’occhio ed essere pronti ad uccidersi per un pezzo di terra o un sacco di farina o per motivi che nessuno ha mai capito davvero, le loro lacrime sono rimaste mute.

Intorno alla torre sono cresciute le case del villaggio e hanno ricoperto a poco a poco le vecchie mura e i passaggi sotterranei, così pieni di rumori e di fiati di bestie e persone.

Le urla dei neonati hanno riempito le notti buie delle campagne e del paese, su su fino alla torre, il calpestio degli zoccoli dei somari si è mescolato al cigolio dei carri e al vociare dei bambini irrequieti ripresi da madri rassegnate e padri induriti dalla fatica, ma tutti sempre disposti ad intonare una canzone.

Ho visto nelle campagne i carri scuri portare i legni verso un cimitero che ora non c’è più, seguiti dai lamenti che non ho dimenticato.

I fidanzati di ogni epoca si sono rincorsi e donati qualche momento di gioia sotto di me, li ho sentiti giurarsi fedeltà eterna e sospirare sperando in un mondo migliore.

Come sono cambiati gli umani nel tempo, nei loro abiti e la loro lingua, il modo di muoversi e di atteggiarsi, ma io li vedo sempre gli stessi.

Ridono e piangono per le stesse cose, hanno idoli diversi ma pregano comunque e compiono gli stessi errori.

Li ho guardati combattere con armi sempre più sofisticate e precisione maggiore nel farsi male e non li ho capiti.

Come possono non vedere tanta bellezza che ci circonda, non godere dello spettacolo della vita. Certo la natura è bella da far quasi male poiché è anche crudele ma se gli uomini ambissero sempre al bene proprio e non al male altrui si potrebbe limitare i danni di un sistema perfetto ma duro e impietoso. Ora, per fortuna, sono tranquilli.

Però senza uomini e donne intorno a me non posso stare.

Erano così tanti nei tempi passati e ovunque c’era compagnia. Oggi gli abitanti del paese sono pochi e alcuni vengono da terre lontane, parlano lingue strane e fanno tanta strada per stare un po’ sotto la mia ombra.

Mi piacerebbe proprio tornare a vedere tante persone sotto di me che si parlano, commerciano e si divertono.

Che belle feste sono state fatte qui, l’odore del buon cibo solleticava anche me quassù, la musica delle campane o degli strumenti faceva vibrare noi pietre.

In passato si accendevano anche grandi fuochi che illuminavano la notte con faville danzanti nell’aria.

A dire il vero, anche l’anno scorso è stato acceso un grande fuoco con intorno donne e uomini vestiti con abiti antichi e pochi spettatori, perché c’è la malattia.

Nei secoli è successo più volte, è arrivata la peste di turno, ho sofferto anch’io a vedere le famiglie decimate. Purtroppo la gente non sapeva difendersi, fuggiva lontano portandosi dietro il morbo, oppure sperimentava rimedi fantasiosi ma inutili. Oggi la gente è più informata ma ancora inerme di fronte al mostro piccolo e invisibile, che ha ucciso già due miei amici.

E pensare che solo tre anni fa il paese era in fermento perché si stava preparando una festa speciale.

Una donzella indaffarata nella festa è una mia amica e quel giorno lì era tutta contenta ( ci sarebbe stato anche uno storico annullo filatelico) per il successo che stava avendo la sua idea , le sue foto e il disegno per la cartolina filatelica, una bella pesca con all’ interno della torre, me, l’apertura di un sotterraneo, il paese nascente con la chiesa e la strada che lo ha attraversato per secoli e accompagnato fino ad oggi.

La mia amica la chiamano la pusteina e la vedo tre volte la settimana e tante domeniche, viene qui a lavorare o a dare cibo ai miei amici mici .

La guardo mentre alza lo sguardo verso di me o ascolta il vento o il silenzio, mi piace la sua compagnia, spesso siamo sole, a parte i bei micetti che miagolano per le loro faccende.

Io ho tante cose ancora da raccontare e se vuoi, lettore, io sono qui, dillo alla mia amica e lei ti farà leggere i miei ricordi….a presto.

 

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