La storia di Berlecca. Mariangela Tardito

di Marina Levo

S T O R I A D I B E R L E C C A

Su verso la Langa lo conoscono tutti, Antonio Cortesi, cinquanta chili sporchi, capelli tutti candidi, duelunghi baffi come usavano una volta, bianchi perché non ha mai fumato, curati perché sono il suo unicolusso, il suo regalo.

Antonio Cortesi di fu Giacomo, classe millenovecentoventotto

Lo chiamano tutti Berlecca, ma il motivo non lo sanno più neanche i vecchi: ne son rimasti pochi, a conoscerlo ancora, a sapere di chi è figlio da dove viene che fa                              mentre cammina di cascina in cascina, la notte, con in mano la pignatta unta della masca di Neive.

Si alza però sempre all’alba, lavora nei campi, ara ancora guidando il vecchio trattore, semina e zappa come quando era giovane. Munge e prepara il formaggio, il fieno alle bestie,   raccoglie l’erba espazza l’aia proprio come quando c’era ancora Carolina a vivere con lui.

Nemmeno gli sembra che sia morta già da dieci anni e qualche mese: gli sembra ieri che lo chiamava percena, o gli portava il pranzo nei campi, con la mezza pinta di vino ed il pane duro, del giorno prima.

È caduta dalla rocca oltre la vigna vecchia del moscato, povera donna, inseguendo una capra che forse nonvoleva tornare a casa. Ha messo male un piede di sicuro ed è ruzzolata giù verso il ritano in fondo,massacrandosi contro il tufo. L’ha trovata proprio lui l’indomani all’alba; era viva, ma tutta rotta, ed avevaperso troppo sangue.

L’aveva cercata la notte prima senza fermarsi sino all’alba – preoccupato dalla sera quando si era accortoche il fornello era spento e la tavola non era apparecchiata l’aveva cercata facendosi luce con la pilagrossa, chiamandola forte. Non pensava fosse andata da quella parte ed arrivata così lontano, non avevasentito i suoi lamenti. Portarla all’ospedale con l’elicottero non era servito a niente: qualche giorno poi                               via, senza neanche svegliarsi e salutarlo.

Dopo cinquant’anni insieme neppure un saluto, una stretta della mano,                           un’occhiata.

Eppure in quei pochi giorni all’ospedale l’aveva vegliata anche di notte, non si                 era mai allontanato. Seduto su una sedia dura, con le infermiere che passavano e scuotevano la testa, guardandolasempre, aveva aspettato.

Così era rimasto solo, in cascina, perché                                           i figli erano quasi tutti via: il piùgrande   Giovanni – a Torino, tutti i giorni e tutto il                                   giorno al lavoro e pochissimo tempo. La domenica con la famiglia, due figli gemelli un po’ balordi, che davano tanto da fare e da pensare.

Il più piccolo ancor più lontano, ingegnere in Germania ad inseguire chissà quale fortuna.

Solo Marisa – l’unica ragazza – restava in paese, per fortuna vicina, almeno tutti i giorni passava.

Proprio Marisa è venuta per prima a domandare e Berlecca le ha riso in                        faccia   – Che ti ho fatta studiare a fare? le ha detto quando lei ha chiesto della   pignatta della masca di Neive.

– Ma ci credi a queste storie? le ha ancora detto subito dopo e lei ha dovuto fare un passo indietro,scrollare le spalle…

– Ma no che non ci credo, non ci credo no, ha risposto, ed è tornata a casa pensando alla gente, aglistupidi che mettevano in giro quelle storie.

Poi è toccata a Giovanni, che lavora in banca e ci tiene, non vuol fare delle brutte figure: l’ha saputodalla vecchia   Marietta, lei un po’ strega davvero: lo ha incontrato domenica mentre passava inmacchina per il paese e si è fermato a comprare due paste da portare a suo padre.

– La pignatta unta della masca di Neive, quella più potente di tutti… l’ha presa tuo padre, sta attento, Giovanni! gli ha borbottato davanti al negozio e meno male che sua moglie era in macchina e non hasentito così non ha dovuto spiegare.

La gente parla, è ignorante la gente.

La gente si fa segnare i vermi, la paura; la   gente ha notato che sul noce davanti alla                  casa di Berlecca ogni notte adesso canta la civetta. Nei boschi si accendono le luci,                       dopo che lui è passato, risuonano strane voci ed hanno tutti paura, ormai.

Si dice che qualche notte Berlecca diventa un         caprone e corre per le strade del paese: nessuno puòprenderlo, nessuno lo riesce a fermare: ha fatto cadere Masino che ha provato ad afferrare quel caprone per le corna e gli ha rotto due costole passandogli sopra con due zoccoli neri                                     grossi così. Adesso Masino gliel’ha   giurata e gira con lo schioppo carico, lo maledice e sputa per terra tutte le volte che ne parla: il fieno gli ha fatto perdere, tutto il fieno della Pianca che non è riuscito a riparare per tempo prima del temporale perché era all’ospedale.

  Altre notti Berlecca invece si fa maiale e grugnisce, grugnisce mentre scende al ruscello sotto al paesedove beve, poi                            passa negli orti e rovina tutto: non c’è frutto che scampi.

Una sera, davanti all’osteria, Santino            della Casa Bianca gliel’ha detto, di                    piantarla, dilasciare stare loro povera   gente che ne hanno sempre abbastanza. Una masca non serve, in paese, fasolo   del danno.

E Berlecca l’ha fissato, ma non ha neanche risposto. Si è incamminato verso casa senza guardarsi intorno, con il               capo chino, le braccia abbandonate lungo il corpo curvo: classemillenovecentoventotto non son pochi, i suoi anni cinquanta chili sporchi di ossa contorte e pocacarne,                                 solo ormai da più di dieci anni, ma pulito e ordinato perché così Carolina avrebbe voluto.

Santino l’indomani è caduto dal fienile, si                     è schiantato sul cemento davanti a casa sua. L’han caricato sull’Ape per portarlo dal dottore ma era già morto e adesso sua moglie è rimasta da sola con due  figli bambini da tirare su. Così la gente del paese non lo guarda più in faccia, non gli parla, attraversa la strada se lo incontra. La moglie di Santino gli ha gridato contro, quando l’ha visto al funerale, han dovuto tenerla in quattro perché gli avrebbe messo le mani addosso.

Su verso Langa lo conoscevano tutti, Antonio Cortesi fu Giacomo.

Lo chiamavano tutti Berlecca, ma il motivo non lo sapevano più neanche   i più  anziani: ne son rimastipochi, a ricordarlo, a sapere che aveva preso lui la pignatta unta della masca di Neive.

Adesso dondola da un ramo grosso del noce vecchio davanti alla casa; Antonio Cortesi, detto Berlecca,classe millenovecentoventotto, cinquanta chili sporchi, capelli candidi e baffi bianchi, ha gli occhi di unazzurro cielo appena velato che ormai guardano altrove, oltre le nuvole bianche d’inverno, oltre i corviche solcano il cielo gracchiando e cercano gli alberi per fare i nidi.

Forse chiamano la neve.

 

Ti potrebbe piacere anche

Lascia un commento